L'arrivo del Principe


Anche quella giornata pareva destinata a procedere
come ogni altro giorno: tutto era iniziato in modo normale,
come d’abitudine: con le stesse persone, gli stessi impegni,
le attività che si ripetevano come al solito…
Tutto, quindi, pareva dovesse procedere come di consueto…



Quand’ecco che nel paese si diffuse improvvisamente
un vociferare insolito, dapprima indistinto e confuso, poi
sempre più chiaro: era la gente del villaggio che, correndo
qua e là per le strade, annunciava: “E’ arrivato il
Principe!”. “Quando?…Dov’è?…” si sentiva rispondere
ora qua, ora là.
E tutti cercavano di andare alla ricerca di notizie più
sicure e di altri ragguagli; ma nessuno sapeva dire ancora
qualcosa di preciso, tranne la risposta che riecheggiava
continuamente: “E’ arrivato il Principe!”. L’attesa di questo
Principe tra quella gente non era una novità: già da
tempo infatti si parlava di una prossima venuta di un
Principe; alcune persone, ogni tanto, nel paese, ne richiamavano
l’imminente arrivo; qualcun altro non ci aveva
però fatto granchè caso, continuando le proprie occupazioni;
altri poi non avevano affatto creduto a questo
annuncio: “Cosa ci dovrebbe venire a fare – affermavano
– un personaggio come un Principe in un villaggio come
il nostro?”.
Qualcuno però, sentendo ora annunciare questa venuta,
si ricordò che quando era bambino, gli era stata annunciata
la venuta di una persona importante, per cui ora quell’idea
riaffiorava e acquistava senso… Un senso che si
accresceva con quella progressiva intensità del vociare
della gente, là fuori; e faceva riemergere la curiosità e l’attesa
che parevano essersi ormai dissolte con il tempo.
Ora quel movimento di gente per la strada coinvolgeva
sempre più anche chi era rimasto prima un po’ sospettoso
e prudente alla finestra a guardare, ma che ora, sentendosi
sempre più partecipe e interessato a quella venuta, scendeva
nella strada, accrescendo il numero degli annunciatori.
Che effetto, vedere ora tutta quella gente in giro per
il villaggio ad annunciare l’arrivo del Principe! Ma perché
ora erano tutti così interessati, così intensamente coinvolti?
Perché tanto interesse di fronte alla venuta di questo
Principe?
Ed ecco spuntare, dal fondo del viale principale, annunciato
dai trombettieri, un banditore a cavallo; avanzando
con molta difficoltà tra tutta quella gente, raggiunse il centro
della piazza e dispiegò il suo proclama: “Udite!
Udite!…”. A poco a poco il vociare diminuì fino a farsi
silenzio quasi assoluto.
“E’ appena giunto qui in paese il Principe, il tanto atteso
e desiderato dal popolo! Con delibera delle nostre autorità,
questa sera, ciascuno di voi è espressamente invitato
a prendere parte al banchetto e ai festeggiamenti che si terranno
in suo onore! Siete tutti quanti attesi alla sala del
popolo, allo scoccare delle ore otto!”.
L’araldo ripiegò il proclama, mentre la folla riprese il
vocìo ora ancor più intensamente; il banditore, facendosi
largo col suo cavallo tra le persone, sebbene a stento, riu-
scì a ritornare da dov’era venuto.
Quella sera, all’ora stabilita per il ritrovo, una fila sterminata
di persone stava ad aspettare fuori dal portone
della sala del popolo, nella quale si sarebbe svolta la tanto
attesa festa.
Mentre erano lì in attesa, le signore si davano gli ultimi
ritocchi al trucco del viso; gli uomini, cercando di non
farsi notare, si sistemavano il vestito nuovo che avevano
da poco indossato, o si riordinavano i capelli con la palma
della mano; i ragazzi, impazienti, correvano di qua e di là,
giocando tra di loro, fermandosi solo per qualche attimo di
fronte al richiamo dei genitori; alcuni anziani, mentre
attendevano lì in fila, raccontavano a quelli più giovani la
vicenda dell’attesa del Principe vissuta lungo la loro vita,
delle tante volte che ne avevano sentito parlare e che ne
avevano parlato a loro volta agli altri, e sottolineavano ora
la loro gioia per aver avuto l’occasione, prima di morire,
di partecipare a quella festa.
All’improvviso il portone fu aperto e, poco per volta,
tutti entrarono e trovarono posto, dando inizio alla festa,
nell’attesa dell’arrivo del Principe. L’atmosfera che si
andava creando nella sala era qualcosa di veramente stupendo
e rasserenante: colori, calori, emozioni, che si
accompagnavano ai delicati sapori dei cibi e delle bevande
verso la interminabile fila di invitati al banchetto, ecco la
poltrona riservata al Principe, che avrebbe dovuto arrivare
– ripetevano le autorità competenti – da un momento
all’altro. D’un tratto, il suono di una tromba fece interrompere
tutto quanto… Tutti si alzarono in piedi, in silenzio e
attendendo… Entrò un araldo e si mise accanto alla poltrona
del Principe; e dopo aver srotolato una pergamena,
si schiarì la voce e diede inizio, a voce alta, alla lettura:
“Udite! Udite!… Il Principe, il nostro amato Principe,
cogliendo l’occasione della vostra presenza a questa festa
che avete organizzato per il suo passaggio da queste parti,
si rivolge a ciascuno di voi e chiede la vostra collaborazione
per una missione molto importante che Egli sta compiendo.
Per questo non ha potuto essere presente qui tra
voi, questa sera. Una missione molto importante, per
garantire il suo Regno. Ora il Principe si trova sulla strada
maestra, all’uscita del paese; chi si vuol mettere disponibile,
si rechi là: Lui sta attendendo”. L’araldo chiuse la
pergamena e se ne andò.
Tutti rimasero per un poco ammutoliti e assorti… Poi,
qualcuno si alzò e uscì dalla sala… Pochi.
Gli altri, superati quegli attimi di sconcerto, ripresero
via via, sempre più intensamente, a vivere le realtà della
festa. La musica e le danze ricominciarono, le portate
furono servite in tavola con più abbondanza, la gente continuò
i discorsi lasciati a metà. Tutto quanto riprese, e con
maggiore intensità di prima.
Là fuori, quel gruppetto che aveva accolto l’invito si
era messo in cammino verso la strada maestra.
Stringendosi addosso i vestiti, a causa del freddo, procedeva
speditamente fra le viuzze del paese; uno di loro si
volse indietro, osservando per un attimo le luci festose e
ascoltando le grida gioiose che provenivano dalla sala
della festa… poi riprese il suo cammino con gli altri. A un
certo punto da un angolo di una strada sbucò fuori l’araldo:
“Per di qua!” disse sottovoce al gruppetto, incamminandosi
veloce davanti a loro. Lo seguirono in fretta,
senza esitare; finchè sbucarono, attraverso quelle innumerevoli
viuzze, sulla via maestra.
Qui si trovarono di fronte una numerosa folla, raccolta
attorno al Principe… Eccolo!… Là, al centro! Il
Principe!… Lui, lì, a cavallo del suo bianco destriero!
“Benvenuti! – disse rivolgendosi a coloro che erano
appena giunti – Siamo pronti, ora possiamo andare!”.
Sollevò la mano verso l’alto, dando inizio così al movimento
di quella gente, che si incamminò dietro di Lui.
Tutte le persone di quel corteo, sorridendo, si presero per
mano, procedendo senza fatica; anche il freddo, fino a
pochi attimi prima così intenso, ora non lo si percepiva
nemmeno.
Da quel corteo si innalzò lievemente un canto, che con
la sua delicata melodia pareva essere un filo che legava tra
loro tutti quanti. E un’atmosfera di gioia sempre più intensa
e profonda entrava nel cuore di ognuno. Dopo un po’ di
cammino, apparve, in una luce fioca, ancora lontano, ma
ben visibile, lassù in alto, un Castello. “Ma… lassù?…-
disse uno di loro stringendo la mano al vicino, per richiamarlo
alla sua domanda – E’ là?… E’ a quel Castello che
ci stiamo dirigendo?” e glielo indicò con lo sguardo.
“A quanto pare, sì… pare proprio che ci stiamo dirigendo
in quella direzione” rispose quello sorri dendo.
“Di chi sarà il Castello?”. “Boh!… Proviamo a chiederlo
al Principe!”. “Principe!… Ehi! Principe!” chiamarono,
cercandolo davanti a loro. “Sì… che c’è?” rispose il
Principe rallentando il cammino del suo destriero e volgendosi
indietro. “Scusa… vorremmo chiederti: stiamo andando
là, a quel Castello?” chiese uno di essi. “Sì, siamo diretti
là – rispose il Principe osservando con un sorriso la meta
sempre più vicina – al Castello di mio Padre, il Signore
delle Fate. Egli ha preparato per me e per voi una grande
festa!”. “Ma…- riprese uno di quelli – la festa non era
quella che avevamo organizzato noi, laggiù al paese?…
Quella che abbiamo lasciato poco fa?”. “Quella – rispose il
Principe sorridendo – non era che l’antipasto, l’inizio…e
così voi l’avete vissuta: Ma la vera e propria festa è quella
che si svolgerà al Castello di mio Padre”. “Ma… e quelli
che sono rimasti al paese?” chiese uno.
“Se ne accorgeranno, quando, terminata la festa, si renderanno
conto del loro errore. Erano intervenuti per il
Principe, e poi si sono fermati a festeggiare solo se stessi.
Non hanno compreso che la vera festa invece era stare con
me, e non semplicemente farmi una festa” spiegò Lui. “E
ora, che faranno? Che succederà loro?” chiese un altro.
“Intanto, quello che faranno se lo stanno già decidendo:
continuare a far festa… e questo ancora per un po’; finchè
tutto finirà! Allora, andranno in giro alla ricerca di questa
dimora; un giorno giungeranno qui, e fuori dalla porta,
bussando grideranno: Signore, Signore, aprici!.
Ma mio Padre dirà loro: Non so chi siete, né di dove
siete. Ed essi risponderanno: Siamo quelli che hanno partecipato
al banchetto di tuo Figlio!… A quella festa!. E Lui
ribadirà: Ma c’era mio Figlio a quella festa?. La risposta
sarà: Beh… no, non proprio… E mio Padre: Se non c’era,
come potete conoscerlo? E come Lui può conoscervi?… E
la porta verrà chiusa”.
Si era intanto giunti al Castello. Il Principe discese dal
suo destriero e, alla guida di tutte quelle persone, entrò. Ci
ritrovammo tutti quanti in un’immensa sala piena di Luce.
A questo punto il Principe si rivolse ai presenti: “La festa
ora sta iniziando, e non finirà mai.
State per vivere pienamente ciò che da sempre avete
cercato e desiderato: soprattutto voi stessi, la vostra realtà,
chi siete veramente”.
Laggiù, dal fondo, ecco apparire il Signore delle Fate:
…una Luce sempre più serena e colorata, che pervade con
il calore di una gioia immensa… e un delicato silenzio che
sta facendo rivivere ognuno…
“Benvenuti” ci sentiamo dire nel cuore. E mentre avanziamo verso di Lui, la serenità è come una dolce melodia
che colma la nostra anima. Sperimentiamo sempre più
presente con noi il Signore delle Fate…Gustiamo quel
sorriso che ancora non vediamo di Lui, ma che già viviamo in noi.
 

Il Signore delle Fate

La Fata del Silenzio, quella della Pazienza e la Fata del Perdono
giunsero trafelate al Castello del Signore delle Fate.
 
Avevano fatto un lungo cammino, e ora ad esse mancava

persino il respiro per poter parlare. Riuscirono soltanto

a dire che dovevano riferire assolutamente al loro

Signore riguardo a una questione estremamente urgente…

poi vennero meno per la troppa stanchezza e furono

condotte via.

Quando si risvegliarono, si trovarono adagiate su morbide

poltrone, e di fronte ad esse stava il Signore delle Fate.

Si alzarono e si inchinarono di fronte a Lui, e la Fata della

Pazienza parlò per prima: “Signore, siamo qui per riferirti

di situazioni molto gravi che si vanno creando in questi

giorni: stiamo constatando che Belzebul sta agendo dappertutto

con una nuova tattica che ci sta mettendo fortemente

in crisi…”. Intervenne la Fata del Perdono: “E’ assolutamente

necessario che Tu intervenga, perché per noi

questa situazione sta diventando sempre più impossibile da

affrontare: è sempre più difficile riuscire a riconoscere gli

inviati di Belzebul dai nostri: la nuova tecnica di assalto si

confonde troppo con la nostra!”. “Per questo siamo venute

qui! – concluse la Fata del Silenzio – C’è urgentemente

bisogno di un tuo consiglio o di un tuo intervento”. Dal suo

trono raggiante di luce il Signore delle Fate sorrise benevolmente,

poi disse loro: “Perché temete?”.

Ci fu un attimo di pausa, nel quale le tre Fate si guardarono

reciprocamente, come per confermare la loro intesa;

poi la Fata del Silenzio parlò: “Signore…anch’io non

riesco più a tacere, a questo punto, anche se so che dovrei.

Non riesco… Forse Tu non sai che gli inviati di Belzebul

stanno utilizzando addirittura le nostre sembianze, e agiscono

seguendo le nostre stesse tattiche…e con ottimo

risultato a loro favore!”. “Lo so. – disse sorridendo il

Signore delle Fate - Ma perché temere?”. “Già, non

dovremmo – intervenne la Fata della Pazienza – dovremmo

restare salde e serene. Ma vedere attorno a noi tutte

queste situazioni, ci sta creando molte preoccupazioni,

Signore”. “E perché mai?” domandò il Signore delle Fate.

Le Fate l’osservarono in silenzio, quasi incredule che Lui

non agisse prontamente e non condividesse in pieno le

loro ansie. Eppure, non poteva non aver capito la gravità

dei fatti. La Fata della Pazienza cercò allora di prendere un

nuovo spunto in quel discorso che pareva impossibile da

continuare secondo le loro attese: “Ma, Signore, dicci: per

quanto durerà questo nuovo sistema ideato da Belzebul?”.

“Finchè voi gliene darete la possibilità” fu la riposta del

Signore delle Fate. La Fata del Silenzio volse lo sguardo

alle altre: si intendevano, senza dirsi le parole, su una cosa

che appariva ormai certa: il dialogo con il loro Signore

non procedeva secondo gli schemi previsti da esse. Lui

pareva non capire. Ma com’era possibile? Come poteva

reagire soltanto così, e con quell’estrema calma, di fronte

a quel pericolo che, loro ne erano convinte, era veramente

grave? C’era qualcosa di strano in quel loro faticoso dialogo.

C’era qualcosa di molto strano e di nuovo, che impediva

ad esse di avere un rapporto sereno, in quel momento,

con il loro Signore.

Mai prima di allora era accaduto questo…e ciò destava

una certa preoccupazione nelle Fate. E questa era una

nuova e grave considerazione, che aggravava il peso già

enorme costituito dai problemi di quei giorni. Ci fu così un

prolungato momento di silenzio… Poi, a un certo punto, il

Signore delle Fate si rivolse di nuovo ad esse: “Finchè voi

gliene darete la possibilità, non c’è altra risposta”. In quelle

parole le Fate si sentirono svelare le trame dei loro pensieri,

e arrossirono, volgendo gli occhi in basso per la vergogna.

La Fata del Perdono riprese la parola: “Signore…

non volevamo dubitare, ma…la situazione ci ha suggestionate

a tal punto che non ci pare più così chiara e così

realizzabile la nostra serenità”. Il Signore delle Fate si

rivolse a lei: “Tu, Fata del Perdono, saresti disposta ora a

offrire il perdono a Belzebul?”. “Ma…ma…che dici,

Signore? Perdonare Lui? Belzebul?! – rispose attonita la

Fata, volgendo lo sguardo stravolto alle colleghe – Non

vorrai dirmi che è anche solo nelle tue intenzioni fare questo?!

Ma…Signore, come può essere possibile? Attendersi

che Belzebul accolga il perdono?… Ma non è definitivamente

destinato alla condanna? Come può esserci il perdono

per Lui?”. “Già… come può essere possibile ciò che

dici, Signore?” richiese ansiosa la Fata della Pazienza.

“Spiegati… parlaci! Non comprendiamo quello che stai

dicendo, Signore!” sollecitò la Fata del Silenzio. Attesero

nel silenzio, mentre dal suo trono raggiante di luce il

Signore delle Fate pareva voler rispondere soltanto con

quel sorriso che invitava a riconsiderare le cose e ad affidarsi

di più a Lui. Ma le Fate si attendevano anche la spiegazione

di ciò che stava accadendo e che non riuscivano a

comprendere con quella sua stessa serenità… “Perché mai

questa proposta vi rende così piene di paura?” chiese alla

Fata del Perdono il Signore delle Fate. “Perché…perché…-

cercò di spiegarsi quella, ancor più agitata – tutto

ciò che crediamo essere sicuro sta per essere minacciato,

e ora proprio da Te, Signore!… Come può essere possibile

che non riusciamo più a capirci?… Che Tu dica queste

cose, che a noi paiono totalmente assurde?”. “Come

potremmo non essere piene di angoscia e di paura, a questo

punto? Belzebul sta avanzando grazie alle sue nuove

trame…e Tu ti dici persino disposto ad offrirgli il perdono.

Come può essere possibile per noi rimanere serene?”

aggiunse la Fata della Pazienza, visibilmente agitata. “Noi

ci fidiamo di Te, Signore – osservò la Fata del Silenzio

esprimendosi con estrema prudenza, come soppesando le

parole – ma questa fiducia viene ora minacciata. Abbiamo

paura che…sì, che Belzebul prevalga!”. “Questo può essere

possibile solo se voi gliene darete la possibilità, come

state per fare ora” disse con tono di spiegazione e di interrogazione

il Signore delle Fate. “Come sarebbe a dire?”

fece la Fata della Pazienza, dopo un attimo di silenzio.

“Credo ora di riuscire a capire – intervenne in aiuto la Fata

del Perdono – sì, penso proprio di intuire quello che Tu

stai per aiutarci a comprendere: che siamo già soggette un

po’ alla tattica di Belzebul, solo perché non ci fidiamo di

Te… e proprio per questo stiamo permettendo a Lui di

avere il sopravvento…intanto, su noi stesse. Se abbiamo

paura, significa che non abbiamo fiducia in Te. E questa

poca fede permette al nostro avversario di lasciarci prendere

con altre preoccupazioni e timori…”. “E allora, che

occorre fare?” le chiese la Fata della Pazienza. “Occorre

prendere coscienza della superiorità del Signore delle Fate

su ogni cosa… anche di fronte alla possibilità più assurda:

quella appunto di dare a Belzebul la possibilità del perdo81

no” spiegò la Fata del Perdono. “Ma ciò comunque non

potrebbe mai avvenire!” riprese quella, cercando una conferma

alla sua convinzione. “Da parte di Belzebul, forse

no… Ma da parte del Signore delle Fate, non può non

esserci anche la possibilità di questa offerta. Altrimenti,

Lui verrebbe limitato nel suo agire e nel suo essere infinito,

in questo caso… è così?” concluse la Fata del Perdono

rivolgendo la domanda al suo Signore. “Sì, è come dici”

confermò Lui sorridendole. La Fata del Silenzio, che era

rimasta ad ascoltare attentamente l’evolversi delle cose,

intervenne con calma: “Stavamo per soccombere già ora

al potere di Belzebul… se Tu non ci avessi fatto rendere

conto della nostra poca fiducia in Te. Ora stiamo per comprendere

che le nostre paure non vengono tanto dal potere

di Belzebul, ma soprattutto dalla nostra poca fede”. Le

Fate osservavano, silenziose, lo sguardo rasserenante del

loro Signore…e sentivano, a poco a poco, ritornare quella

serenità che fino a poco prima stava rischiando di allontanarsi

sempre più da loro.

Recuperavano in quegli attimi la capacità di rivedere

tutta la situazione con la fiducia… Senza che la paura

potesse prevalere in quelle loro considerazioni, che esse

ora riuscivano sempre più a riferire alla presenza del loro

Signore; e ciò dava alle Fate la certezza che ogni realtà era

destinata a inserirsi nella vittoria della Luce di Lui.

Riconoscendo che il loro errore era stato quello di non

confidare pienamente in Lui in quei momenti del pericolo,

ora ne riscoprivano ancor di più la serena ed efficace presenza,

che aiutava le Fate a rischiarare le cose, là dove il

dubbio stava prima ponendo il buio, là dove la paura stava

per soffocare la gioia, là dove la realtà stava per cedere il

passo all’illusione,… là dove il Signore delle Fate stava

per essere dimenticato e soppiantato da Belzebul. Ora

tutto quanto si stava sistemando di nuovo e con più efficacia

di prima, e le Fate respiravano in quel silenzio la realtà

vitale del loro Signore, che tutto chiariva e tutto sosteneva,

tutto quanto, anche là nel loro cuore, dove Belzebul

stava ancora tentando, sebbene soltanto sommessamente,

di inserirsi e recuperare il terreno perduto. “Tu, Fata del

Silenzio – disse a un certo punto il Signore delle Fate

rivolgendosi a lei – saresti disposta a non far nulla di fronte

all’avanzare del potere del Signore delle Tenebre?”. La

Fata restò alcuni istanti pensosa, poi rispose: “Quello che

mi stai chiedendo, Signore, è un passo enorme, che contrastava

fino a pochi istanti fa con le mie considerazioni a

riguardo della situazione che si è venuta a creare in questi

giorni; ma adesso che sento più profondamente vicina la

tua presenza, Ti dico: se ritieni giusto così, mi fido della

tua tattica, e la seguo pienamente: se Tu suggerisci così,

così sia. Sono certa, ora, che anche se io non agissi con le

parole e con le azioni per combattere la potenza di

Belzebul, il potere della Luce trionferà ugualmente, anzi,

a maggior ragione, perché esso si crea in me e attorno a

me attraverso quella fiducia che Tu ci hai ora proposto di

riporre in Te”.

La Fata, dopo aver concluso la sua risposta, volse lo

sguardo al suo Signore e vi trovò l’approvazione profonda

e completa attraverso quel sorriso che meravigliosamente

si stava irradiando da Lui. “E tu, Fata della

Pazienza – chiese il Signore delle Fate rivolgendosi a

quella Fata – sei disposta a vivere nell’attesa, senza voler

constatare come andrà a finire questa situazione che si è

creata?”. La Fata interpellata rimase qualche istante in

silenzio, come per poter considerare appieno la riposta e

vagliarla bene, prima di esprimerla a Lui; osservò poi il

volto delle altre Fate, e si decise a rispondere: “Sì,

Signore…ora sì, certamente. Mi sono accorta, in questi

momenti dell’incontro con Te, che la mia attesa non è più

soltanto una tensione, ma anche già una realizzazione di

ciò che mi attendevo: con la Tua presenza, confidando in

Te, ora sperimento che la vittoria della Luce è già presente,

anche se non la constato secondo i miei schemi. Ma ora

la constato confidando in Te, Signore. Sì, sono disposta a

non vedere i frutti di questa situazione, perché già ora

vedo in Te la vittoria delle realtà che ci hai affidate: la

Pazienza, il Perdono – e si volse alle altre Fate – e il

Silenzio. Abbiamo rischiato di ritenere queste realtà soltanto

nostre, e non invece, come avremmo dovuto sempre

considerarle, uno specchio della tua presenza, un dono di

Te. Ora che sentiamo la tua presenza più da vicino, sapremo

ritornare là dove ci hai poste e far rifiorire queste realtà

che per colpa della nostra poca fiducia in Te stavamo

perdendo. Ci eravamo convinte di dover difendere tutto

quanto, e non ci siamo rese conto, se non quando siamo

arrivate qui da Te, che queste realtà non hanno nessuna

necessità di essere difese, ma soltanto trasmesse, perché

già vittoriose in se stesse. Grazie del tuo aiuto,

Signore,…grazie!”.

Dal suo trono raggiante di Luce, il Signore delle Fate si

rivolse a loro: “Ora che non avete più paura, e vi siete

riscoperte come Fate autentiche e vittoriose con me, trasmettete

questa Luce con la Pazienza, il Perdono e il

Silenzio. Andate!”. Le Fate si inchinarono con profonda

riconoscenza e gratitudine, e ritornarono a svolgere la loro

missione là, da dove erano venute.

Il Congresso delle Streghe

Belzebul, il Signore delle Streghe, considerando la situazione che si stava creando, decise di convocare un Congresso. Inviò i suoi messaggeri con gli inviti presso tutti i Maghi e tutte le Streghe; il ritrovo era fissato presso il Castello della foresta dell’Aden, l’8 dicembre, venerdì.
Quella sera, sulla strada che conduceva al lugubre

Castello della foresta, fra tuoni e lampi, foschia intensa,

freddo, piogge violente e un vento ululante, cominciarono

a scorrere i destrieri dei maghi di tutto l’universo, mentre

a cavallo di mostruosi esseri e di scope volanti, giunsero

urlando streghe d’ogni rango e nazionalità; alcune maghe

procedevano infine a piedi, strette nei loro mantelli neri,

risalendo lungo il bordo della strada.

Giunsero tutti quanti, in perfetto orario, nel cuore della

foresta, al Castello di Belzebul; dopo essersi salutati,

come loro solito, con grida altissime, imprecazioni e

scherzi di pessimo gusto, salirono dallo scalone centrale,

raggiungendo la sala del ritrovo.

Qui presero posto su funeree poltrone nere: i maghi e le

maghe di rango inferiore nelle file più in basso; quelli più

importanti, con più ampi poteri, via via, sempre più in

alto, in quelle file disposte a semicerchio.

E là, al centro, nel luogo più alto, nel profondo e nella

penombra, la poltrona regale di Belzebul.

Tutti si accomodarono e tacquero, attendendo in quel

silenzio tombale l’arrivo del loro Signore. In quella sala

cupa e fredda parevano tanti cadaveri silenziosi e composti,

posti lungo quelle file di poltrone che parevano

impressionanti bare. Ed ecco l’araldo annunciare l’arrivo

di Lui: Belzebul, il Signore dei signori delle Tenebre.

Tutti si alzarono in piedi solennemente e, con atteggiamento

di estrema compostezza, volsero lo sguardo lassù, a

quella poltrona. E ora ecco, con un’intensissima sinfonia

di tono maestoso, accompagnata da un vento sibilante e

gelido, ecco annunziarsi sempre più vicina la venuta

di…Belzebul! Eccolo!…

Una luce sempre più intensa, abbagliante, accecante,

potente e gelida illuminò prepotentemente tutta la sala,

trapassando ognuno dei presenti fino a renderlo trasparente,

assimilando tutto l’ambiente in un’atmosfera di chiaro

intensissimo. D’improvviso la musica cessò e il vento si

calmò. “Benvenuti a tutti… Accomodatevi!”.

I presenti si risedettero compostamente e si disposero

in atteggiamento di attento ascolto; la luce si era ristretta

ora attorno alla poltrona di Belzebul, lasciando nel buio

tutti gli altri.

Soltanto Lui, l’accecante Signore delle Tenebre, veniva

rivestito da quell’intensa luminosità.

“Vi ho convocati qui perché il problema è molto grave.

Ci sta andando di mezzo nientemeno che il nostro Regno!

Alcuni dei nostri informatori ci hanno recato la notizia che

ancora pochi sono i giorni che precedono l’intervento del

Signore delle Fate contro di noi. Per cui, c’è il rischio di

essere annientati, e fra non molto”. “…Quando, Signore?”

intervenne la Strega della Morte, seduta poco lontano da

Lui e parlando dal buio. “Di preciso, non sappiamo; però

ci è concesso ancora poco tempo, stando a quelle informazioni,

e quindi occorre fare di tutto per prepararci bene e

non sprecare assolutamente questi momenti. Se il Signore

delle Fate si prepara al suo intervento, dobbiamo fare il

possibile per contrastarlo”. “Com’è possibile? Non abbiamo

forse constatato, finora, che Lui è sempre stato più

forte di noi?” chiese il Mago dell’Illusione da una fila più

in basso situata dall’altra parte.

“E’ vero, finora Lui si è sempre dimostrato più forte.

Ma finchè noi esistiamo, il nostro potere esiste con noi! In

questi giorni che ci rimangono, prima dell’intervento da

Lui stabilito, dobbiamo fare di tutto per prepararci a resistere.

E se avremo forza per resistere, certo anche sopravviveremo!

E poi, senza voler esagerare, vi dico, carissimi

miei fidati, che se ci disponiamo bene a riceverlo, c’è

anche la possibilità di sconfiggerlo; certo, occorre che ci

disponiamo in un modo estremamente preparato”.

“Quale tattica suggerite, Signore?” chiese da una fila di

sotto la Strega della Curiosità. “Semplice – spiegò

Belzebul – si tratta di cominciare a utilizzare gli stessi

sistemi che il Signore delle Fate sta usando per sconfiggere

noi. Lui, finora, ci ha sempre vinti lasciandosi avvicinare

da noi, e poi colpendoci a fondo.

Ora, dobbiamo anche noi iniziare a fare lo stesso nei

confronti di Lui e dei suoi: lasciare che le sue Fate e i suoi

Maghi si avvicinino a noi.

Lasciarli avvicinare bene, mi raccomando! Quando ve

li sentirete vicini, fianco a fianco, allora colpite, colpite

forte! Li distruggeremo così, proprio come loro stanno

riuscendo ora a distruggere noi! Occorre quindi andare al

cuore, e poi colpire: ecco il segreto della vittoria, miei

fidati!”. “Signore, mi permetta… – ribadì la Strega della

Curiosità - Ma come faremo ad avvicinarci o a lasciarci

avvicinare da loro? Finora è stato impossibile per noi!”.

“Finora, mia fidata. Ma d’ora in poi non dovrete più utilizzare

le tenebre per raggiungere il nostro nemico e sconfiggerlo

ma…la luce! Sì, proprio la luce, la loro arma!

Un’arma che mai avreste pensato di usare, finora.

Questa luce che ora vedete sarà quindi la vostra arma!

Si confonderà facilmente con la luce del nemico, e allora

sarà ancora più facile il nostro successo! Occorre che ci

facciamo più furbi, miei fidati! Puntare non sulla quantità

dei mezzi, ma sulla loro qualità! E fino ad oggi tutto era

definito: ciò che è luce, è bene; ciò che è tenebra, è male.

Così, ci hanno sempre potuti distinguere da loro, e siamo

sempre stati facilmente individuati. Ed essi, più forti proprio

per questo, hanno vinto.

Ma se ora noi ci confondiamo con loro usando le stesse

tecniche, potremo facilmente arrivare fino al loro cuore

e avremo la possibilità di colpire con maggior efficacia,

accecandoli totalmente con questa nostra luce potente,

Instaurando così il nostro Regno: quello delle Tenebre.

Questa è la nuova tattica, miei fidati! Tu, ad esempio,

Strega della Curiosità, usa i tuoi poteri come se fossero

quelli delle Fate: fingiti una Fata, non metterti subito a

fare i tuoi incantesimi morbosi e interessati: ormai quelli

li conoscono e te li individuerebbero presto.

No, proponi invece sogni innocenti e innocui, curiosità

sane e buone. Oppure, inserisciti accanto a un incantesimo

fatto dalle Fate. Allora ti seguiranno e ti accoglieranno. A

questo punto, quando sei vicina, usa tutti i tuoi veri poteri,

svela le tue curiosità, accentua al massimo le curiosità

buone, ed esse si trasformeranno in eccessi, in sforzi

immani, in esagerazioni e fanatismi mai visti.

Cresceranno anche le paure e le preoccupazioni. Sarà

sempre più buio…e cadranno così nel nostro potere!”.

“Nel mio caso – intervenne con estremo interesse la

Strega della Morte – cosa potrei fare, Signore? Che mi

consiglia?”.

“Tu? Semplice! Piantala di mettere paura alla gente!

Lascia invece che ti dimentichino, che ti credano morta.

Non avranno nemmeno più paura di te. Sottolinea loro che

la vita è da sfruttare in ogni momento, il piacere da vivere

e da non perdere assolutamente. Non temeranno più la

morte. Penseranno a godersi la vita. Si lasceranno accecare

da queste cose.

Cadranno così nel potere della morte e delle Tenebre,

lasciandosi attrarre da quella vita dietro la quale c’eri

Tu!”. “Se ho ben capito – interruppe il Mago dell’Illusione

– ci stai chiedendo di mascherarci con l’arma della tua

luce, non colpendo più come abbiamo fatto finora, con le

armi delle Tenebre, ma con la luce: la nostra luce che contrasterà

quella delle Fate”.

“Esatto! – confermò Belzebul, iniziando a ridere fortemente

– Si illuderanno, loro, di essere nella luce del

Signore delle Fate. E Tu, lascia che si illudano. E se hanno

un po’ di verità, tu non agire come hai fatto finora, cercando

di portargliela via. No: accrescigliela, accentuala in

essi, fino a esasperarla: diventeranno dei fanatici di quel

pezzo di verità e si accecheranno con questa tua illusione…

Ah! Ah!” e la sua risata riecheggiò intensamente

nella sala. “Basta distruggere! – continuò Belzebul –

Questa tattica la conoscono tutti, ormai, e si sono preparati

a difendersi bene. Ora, costruite! Fingete di essere Fate

e Maghi della Luce, travestitevi bene come loro e non pensate

a distruggere il loro lavoro.

Mettetevi anzi ad agire come loro, e accanto a loro.

E poi, al momento opportuno, esasperate tutto quanto,

forzate ogni cosa, accecate fino al punto massimo.

E avremo il buio, la Tenebra: ecco la nostra vittoria!”.

“Io quindi – disse il Mago dell’Orgoglio – d’ora in poi

sarei travestito da Mago dell’Umiltà”. “Certamente! –

approvò Belzebul – E tanti ti verranno a cercare e ti accoglieranno:

proprio quelli che prima ti scacciavano. Tu ti

terrai l’Orgoglio nascosto dentro, finchè ti troverai vicino,

molto vicino a quella situazione.

Allora comincerai a utilizzare l’Orgoglio, dietro la

veste dell’Umiltà, e tutto comincerà a confondersi e a

complicarsi sempre di più.

E si farà buio: è il Regno delle Tenebre che trionfa: ah!

Ah!” e rise ancora per un po’, fortemente, accompagnato

dalle risate di tutti i presenti; poi fece cenno di tacere; tutti

tacquero, ed Egli disse: “Un’altra cosa devo dire…vediamo…

dov’è la Strega dell’Incredulità?”.

“Eccomi, Signore” rispose poco lontano una Maga,

alzandosi. “Ecco, ad esempio Tu… con il tuo gruppo,

dovrai essere molto prudente quando ti incontrerai con le

situazioni della fede.

Lasciale crescere e cerca un poco alla volta di metterci

un pizzico di abitudine e qualche illusione di fare bene…

fatti aiutare dai tuoi fidati.

E soprattutto, non negare mai la fede: susciteresti il

dubbio della sua esistenza! Rendila luminosa della nostra

luce; e alla fine quella fede si rivelerà essere nient’altro

che la nostra Tenebra! Tu e i tuoi colleghi più vicini avrete

molta più difficoltà degli altri, perché vi scontrerete più

da vicino con l’opposizione del Signore delle Fate: ma io

farò il possibile per aiutarvi!”.

A questo punto Belzebul ordinò: “Portate lo scrigno!”.

Fu portato in mezzo alla sala un baule dorato e fu aperto.

“Qui dentro, miei fidati, - disse solennemente Belzebul –

troverete tutto quanto vi serve per poter iniziare. Ci sono

armi che vi saranno molto utili; scegliete a vostro piacimento,

ce ne sono per tutti i gusti: c’è la sicurezza, la

testardaggine, lo sforzo, l’agitazione e l’assenza della tentazione,

l’indifferenza, la pace come quiete di ogni cosa,

le illusioni, il benessere sfrenato, il piacere, la giustizia

sopra ogni valore, il non far niente di male,…cercate, cercate

e troverete! Ora, prima di lasciarvi, vi rivestirò di

questa mia luce con la quale avrete la possibilità di confondervi

tra le Fate e i Maghi della Luce e tra i loro incantesimi,

creando la non chiarezza, e producendo così quella

Tenebra che è la nostra forza! Confido ora in voi!

Auguri di buon lavoro a tutti e grazie di essere intervenuti!”.

“Viva Belzebul! Viva Belzebul!” urlarono tutti quanti

i presenti, mentre la luce che Lo rivestiva si propagava,

ampliandosi a ognuno dei Maghi e delle Streghe e stendendosi

su di loro come un mantello.

La solenne e maestosa sinfonia aveva ripreso intanto a

suonare, e il vento, sibilando, formava dei vortici paurosi

nella sala. Ognuno prese dallo scrigno l’arma preferita.

Poi le porte si spalancarono e tutti i Maghi e le Streghe si

precipitarono fuori, correndo e sbraitando, disseminandosi

nella foresta buia e illuminandola qua e là con quella

loro nuova e strana luce.

Alcuni corsero via a piedi, avvolti in mantelli dorati;

altri, su bianchi destrieri sfrecciarono veloci come folgori;

altri ancora ridiscesero dal Castello a bordo di carrozze

fiammanti; molte Streghe, infine, volarono via a cavallo di

scope luccicanti…

Narrano alcune leggende che nel villaggio lassù, presso

la foresta dell’Aden, si siano fermati un giorno dei ricchi

nobili e delle bellissime principesse, di passaggio per

quei luoghi, e abbiano recato in dono a quella povera

gente cibo e denaro… in cambio della loro servitù.

E la gente di quel villaggio, anche oggi, si ricorda di

questo, e si augura che quei ricchi e benefici signori nel

loro viaggio ripassino ancora da quelle parti.

Biancaneve e i Sette Nani

Eolo, Pisolo, Brontolo, Cucciolo, Dotto, Mammolo e Gongolo:
questi sono i nomi dei Nani, presso i quali rimase a vivere Biancaneve.
 
“Et-cì!…” starnutì Eolo, mentre cercava di richiamare

l’attenzione di Biancaneve tirandola per il vestito, mentre

lei stava sistemando le faccende di casa. “Che c’è, Eolo?”

domandò lei, volgendosi a lui. “Et-cì…Et-cì! - continuò il

nano, scuotendo il capo con una certa tristezza – Ecco,

vedi? Et-cì! Non riesco mai a esprimermi bene come vorrei…

et-cì!…sono costretto sempre a …et-cì…interrompermi,

o a interrompere gli altri…et-cì!”. “Non devi

abbatterti per questo – lo incoraggiò Biancaneve – guarda

anche il lato positivo”. Il nano alzò lo sguardo verso di lei

con una certa meraviglia. “Considera che il tuo starnuto è

anche un richiamo: a te stesso, per predisporti a dire le

cose in modo convinto, senza tanti fronzoli, ma puntando

all’essenziale… E agli altri che, richiamati dal tuo starnuto,

sono nella condizione di disporsi ad ascoltarti e a considerarti”

disse Biancaneve; poi si volse per continuare le

faccende. Eolo aveva gli occhi che brillavano: quelle parole

gli avevano aperto uno spiraglio di nuove possibilità

mai prima di allora considerate. Starnutì di nuovo, mentre

lei, senza volgersi al nano, continuò: “Dipende però da te

rendere positivo il tuo starnuto, perché non rimanga solo

un difetto e un disturbo. Devi essere tu a renderlo un

richiamo, perché in se stesso, il tuo starnutire, non è né

bene, né male: è semplicemente uno starnuto! Dipende

quindi da come lo vivi tu e, soprattutto, da cosa farai dopo

aver starnutito”. Eolo si atteggiò con fare pensoso e rimase

in silenzio. Biancaneve allora si volse verso di lui:

“Renditi conto che il tuo starnuto può essere, se lo vuoi tu,

un’occasione di richiamo, per te e per gli altri, per porre

attenzione a ciò che è utile e valido. Valorizza il tuo starnuto,

Eolo! E vedrai che questa possibilità diventerà una

realtà”. Eolo stava per rispondere, ma un forte starnuto lo

sorprese: “Ett-cìì!”; il nano rimase un istante a pensare,

poi si volse a Biancaneve e le sorrise. “Bravo…ecco, così

devi fare!” approvò lei, riprendendo le faccende.

Pisolo si era addormentato, col mento appoggiato al

tavolino, e scivolava, piano piano, verso il basso, finchè…

un tonfo e si risvegliò sul pavimento. Biancaneve

rivolse a lui uno sguardo comprensivo: “Sta’ attento,

Pisolo. Non lasciare che il tuo cuore si addormenti. Se non

sei sveglio, non riuscirai a cogliere le cose belle che ci

sono dentro e attorno a te. Guarda dentro di te: c’è una

enorme carica esplosiva”. Il nano drizzò la testa, osservando

Biancaneve con un po’ di timore e con gli occhi pieni

di apprensione. “Una carica esplosiva di bene – lo tranquillizzò

lei – non avere paura!”. Pisolo si era allora riaccomodato

per terra, adagiando la testa sul braccio. “Il fatto

è – continuò Biancaneve osservandolo – che tu, addormentandoti

così spesso, non ti accorgi di questa enorme

capacità. Ti sei addormentato su questa realtà meravigliosa,

e rischi ora di soffocarla… Ti piacciono le caramelle?”.

Il nano si drizzò mostrandosi alquanto interessato. “Beh,

ora rifletti – proseguì lei – e considera che tutte le cose che

avvengono attorno a te sono le caramelle della vita. Ma se

tu stai dormendo, non le gusterai di certo. Da sveglio,

invece, le puoi cogliere e gustare fino in fondo. E sai dove

si trova la caramella più buona e più dolce di tutte?”.

Pisolo si guardò attorno, come per cercarla;

Biancaneve allora lo additò: “E’ il tuo cuore; sei tu.

Svegliati e gustala. Allora saprai veramente gustare anche

tutte quante le altre”.

Brontolo, quella sera, era più scontroso del solito verso

gli altri nani e, rivolgendosi ora all’uno, ora all’altro, mormorava

verso tutti parole indistinte, ma dal tono severo e

adirato; finchè si trovò di fronte Biancaneve. Il nano allora

tacque, e guardò per terra; lei lo fissò per un istante, poi

gli disse: “Continua a brontolare”. Brontolo alzò lo sguardo

con stupore. “Sì, continua a brontolare: contro te stesso,

ora, perché non dai quello che sei, ma ti nascondi sempre

dietro le accuse che fai a tutti, perché non sono come

tu vuoi che siano… E quando lo potrebbe essere?”.

Biancaneve si chinò verso di lui e proseguì, con tono sereno:

“Brontola di più con te stesso, e scoprirai come le realtà

cambiano in meglio… anche tu! Brontolando con te

stesso, scompariranno le cose che non vanno in te e diventerai

migliore, aiutando così anche gli altri a migliorare”.

Il nano cercò di inalberarsi di fronte a Biancaneve,

mostrandosi enormemente seccato. Ma il sorriso di lei

prevalse, a poco a poco, e Brontolo, per non mostrare di

fronte a tutti che stava riconoscendo la verità, scappò fuori

e si sedette là, nel bosco, a pensare, mentre gli altri nani

stavano ad osservarlo dalla finestra.

Cucciolo voleva sempre giocare.

Mentre gli altri stavano adempiendo i loro impegni, lui

correva qua e là. Ma non riusciva ad essere sereno, quel

giorno. Non provava gioia in quello che faceva. Si recò da

Biancaneve e gli espose il fatto della sua scontentezza.

“Cucciolo, tu giochi, e molto. Ma lo fai solo per te stesso,

è un gioco che ti isola da tutti. Prova invece a giocare con

loro. Anzi, insegna agli altri a giocare! Tu puoi insegnare

loro a farlo; se però prima tu lo farai giocando non anzitutto

per te stesso, ma per loro! Tu puoi portare tanta serenità

a te stesso e agli altri nani; ma per ora, il tuo gioco

rimane soltanto uno sfogo per te, e nulla più. Giocando

bene, puoi aiutare te stesso e gli altri a vivere più gioiosamente,

a non evadere dalla vita, ma ad affrontarla con

serenità. Prova!”. Cucciolo si guardò in giro, poi corse dai

suoi amici, per invitarli al suo nuovo gioco.

Dotto, quella sera, avrebbe voluto spiegare… Ma nessuno

dei nani era attento: uno dormiva, l’altro giocava,

l’altro si era recato in cucina,… Solo Biancaneve pareva

interessata; si rivolse a lei, un po’ seccato: “Perché questi

ignoranti non mi ascoltano?”. “Per insegnare, caro Dotto,

bisogna prima imparare ad imparare. Quando comincerai

ad imparare, potrai allora essere in grado di insegnare…e

ti ascolteranno” disse Biancaneve con un tono quasi di

indovinello. “Ma io sono pronto!” affermò Dotto con

estrema sicurezza. “Tu vuoi soltanto insegnare, Dotto, e

così cerchi di condizionare gli altri con le tue idee, e rechi

loro solo del danno. Prova invece a insegnare imparando,

mettendo in forse il tuo sapere, non considerandolo mai la

risposta sicura e già fatta; confronta attorno. Ma per far

questo insegna a te stesso a essere te stesso. Conosci te

stesso. Questa è la tua grande possibilità, che ti potrà rendere

sapiente e veramente dotto, non per quello che dici,

ma anzitutto per quello che sei”. Dotto tacque per un po’;

poi prese il libro delle nozioni, dal quale stava traendo il

suggerimento per la relazione da fare quella sera agli altri

nani, lo chiuse, e si recò di là, seduto sul suo lettino, ripensando

alle parole che Biancaneve gli aveva detto.

Mammolo corse piangente da Biancaneve. Gli altri gli

avevano teso uno scherzo e lui, come al solito, ci era

cascato; e ora, piangente, cercava da lei una ennesima

consolazione. Ma Biancaneve questa volta lo fissò con lo

sguardo severo: “E’ ora che tu la smetta di credere ciecamente

a tutto quello che dicono attorno a te.

Comincia a sentire un po’ di più quello che proviene

dal tuo cuore; non aggrapparti subito a quello degli altri!”.

Mammolo annuì subito, ma Biancaneve non lo approvò:

“Non mi hai capito per niente. Pensaci alle cose prima di

dare il tuo assenso o di accoglierle in te. Pensa a ciò che

veramente sei tu, e a ciò che puoi fare. Mi hai capito?”. Il

nano si scostò dall’abbraccio di Biancaneve, nel quale si

era riparato; fece alcuni passi indietro, poi, guardando

nello sguardo di lei, annuì. “D’accordo, Mammolo, così

va meglio” disse Biancaneve.

Gongolo, procedendo goffamente e dondolando di qua

e di là, con lo sguardo fisso ora alla finestra, ora rivolgendolo

ai nani che stavano a parlare nell’altra stanza, non si

avvide di chi stava correndo nella sua direzione, e si scontrò

con l’altro nano; quello si rialzò subito e proseguì,

mentre Gongolo rimase seduto per terra, guardandosi

attorno, per rendersi conto di quello che era successo.

Biancaneve lo aiutò a rialzarsi: “Cerchi sempre un appoggio

e una sicurezza attorno a te, Gongolo, mentre è in te il

centro su cui puoi contare per camminare con sicurezza.

Le possibilità che hai dentro di te, sono queste che ti

permettono di camminare con più decisione, di compiere

bene i passi della tua giornata.

Non continuare a gongolarti lasciandoti attirare ora di

qua ora di là, dalle cose attorno a te! Cammina guardando

il tuo cuore, e riuscirai a non vacillare e a mantenere

l’equilibrio”. Il nano si mise a camminare, appoggiando il

mento sul petto, per poter osservare meglio il proprio

cuore. Biancaneve gli sorrise: “Senza esagerare…”.

Era ormai l’ora di andare a coricarsi. Dopo averli salutati

uno ad uno, Biancaneve si ritirò nella propria stanza; i

sette Nani, nella loro stanza, adagiati nei lettini, non riuscirono

subito a prendere sonno. Quelle cose accadute

quel giorno, alle quali ciascuno ora ripensava, quelle realtà

nuove e positive che stavano scoprendo in se stessi,

attraverso le parole di Biancaneve, li tennero ancora svegli,

per un po’. E ciascuno assaporava la gioia del poter

vivere tutte quelle realtà positive che, finora, erano rimaste

nascoste dentro la loro vita. Poi il sonno prevalse, e

tutti, a notte ormai inoltrata, si addormentarono, colmi di serenità.

LA SCARPETTA DI CENERENTOLA

       
“La fanciulla che calzerà la scarpetta d’argento diventerà la sposa del Principe” così recitava l’editto. Tutte le fanciulle del villaggio che erano in età da marito si prepararono alla grande prova; ma avevano un bel da fare nel rattrappire le dita del piede, sforzandosi in mille modi per poter calzare quella minuscola scarpa: il calcagno rimaneva sempre fuori. “Ci sarebbe ancora una ragazza – disse la Matrigna con un sogghigno, rivolgendosi all’araldo del Principe – ma appena l’avrete vista…”. “Beh, con tante prove fatte, una in più non guasterà di certo” rispose quello sorridendole. “Cenerentola! Cenerentola! Vieni qua a infilare il tuo piedone nella scarpina della Principessa!” strillò la Matrigna. Quando videro che quella ragazzina vestita in modo dimesso calzava la scarpetta a meraviglia, tutti, osservandola con più attenzione, si accorsero che la bellissima ragazza che stava tanto a cuore al Principe era proprio lei: Cenerentola!


“Donna, perché piangi?”.
La ragazza seduta al bordo della strada cercò di asciugarsi
in fretta le lacrime, per nascondere la propria tristezza.
Sollevò per un attimo lo sguardo verso colui che le
stava parlando, poi scoppiò di nuovo in un pianto a dirotto,
incontrollato. “Piangi, piangi, sfogati” le disse quell’uomo,
avvicinandosi. 
Si sedette accanto a lei, su quel muretto, attendendo
con pazienza che la ragazza si sfogasse del tutto; trascorse
un po’ di tempo, poi i sussulti fra i pianti si fecero più
rari, finchè ella riuscì a ritrovare un po’ di calma. Lui le
porse allora un fazzoletto, perché si potesse così asciugare
definitivamente le gote bagnate; l’osservò di nuovo, fissandola
per alcuni istanti; poi le richiese con estrema delicatezza:
“Perché piangi?”. “Eh…- iniziò lei scuotendo il
capo – Non so se tu mi puoi comprendere…E’ una storia
così triste, la mia!…”. “Forse non riuscirò a comprenderti;
però, se tu ne parli, c’è almeno la possibilità che possa
farlo; e poi, è anche per te un modo per non continuare a
trattenerti addosso i tuoi crucci e le tue tristezze. Ne saresti
certo sollevata un po’…”. “Beh..- iniziò lei, riprendendosi
un poco – Ecco: io sono una di quelle ragazze che
hanno tentato di provare la scarpetta di Cenerentola…E ho
fallito, non ci sono riuscita!”. “Non mi sembra la fine del
mondo questo…” le disse lui. “Forse non per te. Ma pensa
a quando…- e continuò la narrazione della sua vicenda -
…quando l’editto del Principe proclamò che lui avrebbe
sposato la ragazza che sarebbe riuscita a calzare quella
scarpetta, immaginati il subbuglio che si venne a creare in
paese! Tutte le ragazze della mia età, tutte a fare progetti
e a sognare: sposa del Principe! Ricchezze, onori, felicità,
fama,… Tutto ciò era lì, a portata di mano, o meglio – e
abbozzò un sorriso – di piede. Un’occasione unica per me!
Tutta la mia vita avrebbe potuto da un momento all’altro
trasformarsi, se soltanto fossi riuscita a calzare quella
scarpetta! E così, con il sostegno di tutta la mia famiglia,
iniziai i preparativi in attesa del ritorno dell’araldo del
Principe; in quei giorni, al villaggio, c’era un’agitazione
incredibile e mai vista prima di allora: tutti correvano qua
e là, chiedendo consigli, recando dei suggerimenti, confrontando
i modi, per poter rendere sempre più possibile il
superamento di quella attesissima prova. Tutto il villaggio
si era trasformato; c’era in giro la voce che la tal ragazza
ci era riuscita già, con una scarpetta anche più piccola,
mentre l’altra non ancora… Ma poi non si trovava conferma
di ciò; scarpe per la prova venivano affittate per un
prezzo altissimo, e appositi addetti passavano per le case,
offrendo, dietro lauto compenso, suggerimenti, consigli,
persino cure per il piede, per poterlo rendere sempre più
morbido e adattabile. Pare anche che alcune ragazze fossero
state sottoposte a degli interventi chirurgici, per poter
avere il piede più piccolo del naturale, e avere una possibilità
in più. E poi, ecco, finalmente, il giorno della prova,
il tanto atteso momento! Ecco giungere nel villaggio
l’araldo del Principe, preceduto dagli sbandieratori, dai
trombettieri, dalle autorità del paese, con un seguito di
gente innumerevole e curiosa.
L’avvento dell’araldo del Principe!…” - sospirò, come
per una pausa di ricordo, poi riprese - “Alla porta della
casa, adagiata su una signorile poltrona rossa, io attendevo
tremante ed emozionatissima, riuscendo a stento a contenere
i miei sentimenti, che in quel momento trapelavano
dal mio volto paonazzo.
Con lo sguardo fisso a laggiù, al fondo della strada, da
dove provenivano, lontane, le voci confuse di quella gente
che preannunciava l’arrivo della mia fortuna, con la mano
tastavo il mio piede, pronto e tremante… Sì, sì, ci riuscirò,
ne sono sicura, ripetevo tra me e me per incoraggiarmi,
io sarò la nuova Principessa di questa gente! Sarò io! Su,
miei sudditi, coraggio, avvicinatevi! Venite! Ed ecco sbucare
dal fondo della strada l’enorme corteo brulicante di
suoni, di colori e del vociare della gente. Eccolo avvicinarsi
sempre più, facendo apparire, tra gli stendardi e le
alabarde, la carrozza dell’araldo del Principe.
Il corteo raggiunse la mia casa; la gente fece ala alla
carrozza reale, che giungendo di fronte a me, si fermò. Il
cocchiere gettò a lato le redini, poi balzò giù e aprì la
porta… Ed ecco discendere lui, l’araldo del Principe,
recando tra le mani un cuscino di porpora con adagiata
sopra la scarpetta... quella scarpetta, che avrebbe deciso le
sorti della mia vita! L’araldo, dopo aver abbozzato un sorriso
rituale verso di me e poi anche ai famigliari, mi si
inchinò di fronte, e inginocchiandosi solennemente mi
porse l’oggetto della prova.
E’ più facile di quello che immaginavo – dissi sottovoce
a mia madre sorridendo – questa scarpetta la calzerò
senza alcuna difficoltà… Ma farò un po’ di scena, per dare
ancora più importanza e solennità a questo momento!.
Presi tra le mani la scarpetta e la sollevai verso l’alto,
mostrandola a me stessa in segno di sfida, e a tutti i presenti
come testimonianza; poi, con naturalezza, come se
non fosse la prima volta, vi misi dentro il piede, piano,…
Ma non riuscivo a infilarlo completamente! Come…?
Com’è possibile che io non riesca ora a calzarla?…
Abbandonando lo sguardo sui presenti che, in attonito
silenzio, attendevano il segno del responso, mi chinai sulla
scarpetta e, aiutandomi con entrambe le mani, cercai di
infilarvi il mio piede.
Ma tutto era inutile… Più mi sforzavo, peggio era! Per
un po’ riuscii a mantenere una certa dignitosa calma; poi
mi volsi con uno sguardo preoccupato a mia madre:
Mamma – le dissi implorando – non ci riesco!. Mia madre
si chinò per darmi una mano; e così ripresi, con il suo
aiuto, le mosse di prima… anche se tutto risultava sempre
più inutile, e ogni sforzo non faceva ora che provocare i
primi sorrisi ironici della gente. Un attimo ancora, e ci
siamo, disse mia madre rivolgendosi ai presenti per tentare
di tranquillizzarli; volgendo poi lo sguardo agli altri
parenti lasciò però trapelare i suoi forti dubbi.
Riprendemmo allora le mosse con più sforzo, in un altro
disperato tentativo, mettendoci il massimo dell’impegno.
Ma non c’era proprio niente da fare!
…E caccia dentro quella lingua, non vedi che tutti ti
stanno guardando? mi richiamò sottovoce mia madre agitatissima.
Continuai con il suo aiuto i miei ostinati sforzi,
stringendo i denti, rattrappendo al massimo le dita del
piede e spingendo con più forza possibile in avanti, verso
la punta irraggiungibile di quella scarpetta che mia madre
teneva strettamente fra le mani. Dai! Dai!..Quasi ci
siamo…- mi incoraggiò lei, e si volse ai presenti – Ecco,
ecco! Ora ci siamo!. In quel momento spinsi con tutte le
mie forze… Mia madre fu rovesciata per terra, la scarpetta
volò via dal mio piede e io finii a gambe in aria sotto la
porta di casa, con la poltrona riversa su di me. Subito
accorsero i parenti, mentre attorno scrosciavano sempre
più intense le risate della gente… Poi il vociare delle persone
si quietò, riprese lo scalpitare dei cavalli, il tintinnio
delle alabarde e il suono dei trombettieri che proclamò la
fine di quella prova e l’inizio di un’altra.
L’araldo, risalito sulla carrozza reale, fece riprendere il
movimento del corteo; mentre io, da terra, osservavo tutte
quelle gambe delle persone che passavano davanti al mio
volto e che battevano con i piedi come una sentenza: No!
No! No!. Nascosi la faccia tra le mani e iniziai questo mio
pianto disperato, nel quale tu mi hai trovata… e che ora si
è calmato, almeno un poco”. Lui rimase in silenzio, per
alcuni attimi, fissandola in quegli occhi tristi; poi le chiese:
“Senti, donna: tutto ciò è ormai una realtà del passato.
Piuttosto, che ti rimane adesso, che cosa sperimenti, ora,
dentro il tuo cuore?”. La ragazza rimase un poco pensosa,
poi gli rispose: “Beh, prima che tu venissi qui, prima che
io potessi avere l’occasione di parlare di queste mie vicende,
in me c’era un’enorme tristezza. Avevo soltanto la sensazione
che stava venendo meno per me il senso della vita,
la gioia e la serenità.
Mi sentivo anche molto agitata, sconvolta dalla rabbia
e dalla gelosia per le altre che avrebbero potuto superare
la prova. Ripensando, ora, che proprio lei, quella poveretta
di Cenerentola, quella servetta di casa, è riuscita a calzare
la scarpetta ed è diventata la Principessa, la mia rabbia
e la delusione si sono quietate. Ora che ho parlato di
tutto ciò, sono certamente più serena.
Comincio anche a ridere di queste cose passate, a sorriderci
sopra e a dirmi: ma guarda cosa ho fatto! Sono stata
a desiderare di qua e di là, quella e quell’altra cosa, rovinandomi
la vita, mentre se avessi agito normalmente avrei
certo potuto godermi questo tempo passato in modo più
sereno, proprio valorizzando la sua quotidianità…e non le
cose impossibili ed eccezionali.
E poi, quella Cenerentola, ora mi dico, beh, fortunata,
certo; ma è anche giusto che non sia stata una come me a
diventare Principessa: avrebbe creato solo rivalità e
discordie, a questo punto.
Lei, l’inaspettata Cenerentola, che viene dal nulla, non
scatenerà certo gelosie tra le altre…solo stupore, grande
stupore e meraviglia. Già, meglio che sia andata così”.
“Donna, non piangere più!”.
Dal fondo della strada ecco riapparire ora il corteo, con
la gente festante, con gli scudieri con le alabarde, con i
trombettieri e con le insegne colorate. Ed ecco riapparire
la carrozza reale, che giunge presso la ragazza e le si
ferma innanzi. Il cocchiere getta a lato le redini dei cavalli
bianchi, poi con un balzo scende a terra, apre la porta
della carrozza e… Mentre la ragazza, estasiata ed attonita
osserva e attende, non vede scendere nessuno…allora
volge lo sguardo attorno, ai presenti: tutti essi sorridono.
“Donna, non piangere più! Ora che hai calzato perfettamente
la tua situazione, ora che l’hai veramente e pienamente
accettata, io – le disse lui lì accanto – ti dichiaro sua
sposa… Salga sulla carrozza del Principe… Principessa!”.
Il corteo riprese il cammino tra i suoni, l’allegria, i
colori, il vociare sereno della gente, dirigendosi verso il
Castello: la dimora del Principe; mentre sulla carrozza una
donna, asciugandosi le lacrime, sorrideva, piena di stupore
e di meraviglia, ancora incredula del fatto che fosse
stata dichiarata: Principessa!